La Vittoria alata

L’affresco che decora il frontone sovrastante l’ingresso di quella che era la sala del Direttorio Federale, ora adibita a ufficio del Questore, è stato riportato alla luce in seguito a restauri nel 2006, dovuti alla decisione dell’allora questore Matteo Turillo di far asportare la carta da parati che ricopriva le pareti dell’ufficio. In seguito alla rimozione apparvero dei lacerti di pittura che portarono al coinvolgimento della Sovrintendenza per eseguire gli opportuni lavori di ripristino dell’affresco che, con la caduta del fascismo, venne nascosto da mani di “biancone” da Nino Vedani, assistente del pittore Montanari.
Al centro della composizione emerge con maestosità e forza la figura della Vittoria alata che reca in mano il fascio littorio e il segno della gloria rappresentato dalla corona di alloro, che porge al Milite Ignoto.
La personificazione della Vittoria è avvolta in una lunga veste fluttuante, secondo un’iconografia che presenta delle strette attinenze con la Nike raffigurata nel pennacchio dell’Arco di Costantino a Roma.
Volge il suo sguardo verso la figura del Milite Ignoto, in armi, pronto, attento e ancora all’erta, a differenza della rappresentazione canonica
che lo vede dormiente in un sepolcro marmoreo. La Vittoria gli porge la corona d’alloro e gli copre con la sua ala protettrice gli occhi perché
il suo volto non sia riconoscibile, scelto per rappresentare il figlio di ogni madre, caduto per la Patria, un eroe che, non avendo mostrine e
neppure medaglie, è il milite che incarna ogni forza militare impegnata nella difesa del sacro suolo.
In prossimità del margine sinistro, accanto al soldato, un rocchio di colonna dorica allude alla vita spezzata del giovane, mentre in basso, ai
suoi piedi, tre date espresse in numeri romani – IV NOV MCMXVIII (4 novembre 1918), XXVIII OTT MCMXXII (28 ottobre 1922), IX MAG MCMXXXVI (9 maggio 1936) XIV (quattordicesimo anno dell’era fascista) – vogliono rappresentare momenti significativi dell’epopea
di quel periodo: la fine della Prima Guerra Mondiale, la Marcia su Roma e la proclamazione dell’impero con l’annessione dell’Etiopia.
Alla figura del soldato segue una pletora di gagliardetti neri, un altro simbolo estrapolato dalla retorica militare dell’antica Roma. Più volte lo
stesso Mussolini nei suoi discorsi ne aveva esaltato il potere evocativo: Ognuno di questi gagliardetti reca il nome di uno dei nostri Caduti.
Non c’è dunque soltanto un brano di stoffa, ma c’è la memoria di un sacrificio, c’è un’anima viva. Sollevate come bandiere vi sono inoltre
alcune vanghe, che alludono alla sentita partecipazione delle masse contadine.
Due aquile di Roma seguono, accompagnandolo verso la conquista dell’impero, Mussolini a cavallo in uniforme. Sotto gli zoccoli del destriero giace un leone sconfitto che allude alle recenti vittorie in Africa.
Grazie all’attenta analisi delle fotografie e delle cartoline dell’epoca che riproducono il monumentale affresco di Giuseppe Montanari, si può notare che era sovrastato da un’imponente iscrizione “Credere, obbedire, combattere”, i tre imperativi del Regime fascista, poi rimossi.
Curiosamente, in un momento non precisato, venne collocata una iscrizione latina, proprio sotto la figura della Vittoria, oggi non più integra
ma ricostruibile con le parole: Huic iussa tria sunt: ut ad sit ut loco dicat ut modo. Con ogni probabilità il passo è tratto dal De legibus di Cicerone in cui si fa riferimento ai doveri dei senatori.
Nello studio di Montanari si sono conservati tutti gli spolveri e tutti i cartoni realizzati per questo affresco: il cartone raffigurante il Milite Ignoto e la Vittoria alata porta sul retro l’iscrizione: Affresco Sala del Direttorio. Palazzo Littorio, Varese.